Il famoso attore e praticante
marziale Bruce Lee sosteneva che le forme delle arti marziali
classiche fossero inutili, poiché propongono soluzioni fisse a casi
ideali che in un evento dinamico e con possibilità infinite come il
combattimento non si riproporranno mai. A parer mio il “piccolo
drago” aveva ragione.
Fortunatamente le forme del VT
non consistono in una sequenza di tecniche o applicazioni, ma il loro
scopo è mostrare dei concetti, far acquisire corrette abitudini
(automatismi) o sviluppare delle qualità.
In una parola le forme del Ving Tsun sono “astratte”.
E non potrebbe essere
altrimenti per un’arte marziale che ha tra le sue basi fondanti
quella di essere basata su “principi” e le cui tecniche sono solo
una conseguenza dell’applicazione di detti principi.
Onde non spiazzare troppo i novizi (che potrebbero essere confusi da un approccio completamente concettuale) si usa mostrare qualche possibile applicazione di singoli o più movimenti, ma restare attaccati all’esempio denota solo mancanza di progressione nell’apprendimento del VT.
Viste le premesse elemento
assolutamente irrinunciabile per utilizzare le forme nel proprio
addestramento è il sapere dettagliatamente tutti i “perché”
delle stesse.
Ad esempio: perché nella
prima forma non mi muovo? Perché tengo i piedi con le punte rivolte
verso l’interno? Perché il gomito va verso il centro? Perché
Tan/Fok/Bong/Jam/ecc. Sao? Perché il Wu Sao torna indietro? Perché
c’è una parte lenta nella prima forma? Perché nella seconda forma
le braccia vanno raccolte parallele davanti al petto? perché ruoto
di 180° e non di.. 150°, ad esempio? Perché una cosa si esegue in
un certo modo? Cosa succede se cambio o modifico questo o quello?
Ecc. ecc. ecc.
Sapere fin nei minimi dettagli e fin da subito, fin dalla prima volta in cui prendo contatto con la forma, tutti i perché e per come di quello che vado a fare, gli errori da evitare, ecc. è l’unico modo per fare in modo che le forme diano i loro frutti e per poter applicare l’autocorrezione.
Ma perché usare le forme? Non
potremmo sviluppare abitudini, qualità e apprendere i concetti in
modo corretto senza le forme? Teoricamente potremmo, ma con molta più
difficoltà e in molto più tempo. La capacità di usare il corpo in
un dato modo (“intelligenza corporea”) richiede la comparazione e
la ripetizione continuata di modelli. Ecco dunque che per assimilare
il modello che vogliamo “caricare nel nostro hard disk” è
necessario ripeterlo costantemente mantenendo gli stessi parametri.
Quindi le forme nascono come sequenze “ideali” in cui il
movimento, l’azione o il concetto sono eseguiti nel modo migliore per
lo scopo che ci prefiggiamo, così che il corpo li acquisisca in
maniera corretta. Ovviamente questo processo richiede tempo,
soprattutto quando occorre affiancare o sostituire modelli ormai
consolidati. Considerando l’innaturalezza congenita delle tecniche e
della strategia del VT (uso dei gomiti, della linea retta, di
entrambe le braccia coordinate tra loro e con gli spostamenti, ecc.)
si capisce come questo aspetto diventi fondamentale.
Ma il corpo impara a fare
qualcosa anche in base alla specificità dei parametri che gli si
forniscono. Sotto questo punto di vista le forme si risolvono in una
serie di movimenti fatti a vuoto: in concreto stiamo solo muovendo
l’aria… . Quindi per far in modo che le qualità apprese siano
funzionali, siano potenziate, migliorate ed applicabili è
indispensabile che alle forme sia accostato un qualche tipo di
feedback fisico, materiale.
Ecco dunque che esse vanno abbinate all’uso dell’uomo di legno e agli esercizi con il partner (Chi Sao, Lap Sao, Gow Sao, esercizi Lat Sao Jik Chung, ecc.). Questi strumenti dell’addestramento VT rappresentano la parte tangibile delle forme, senza questi esse rimangono lettera morta, un qualcosa che risiede solo nella “testa” del praticante ma non nelle sue “braccia”.
In un contesto dinamico e
stressante come il combattimento, ovviamente, si perderanno molte
delle impostazioni ideali apprese, si commetteranno errori
(overshooting, sbilanciamenti, posizionamenti errati, timing errato,
ecc.) o non si avrà la possibilità di usarle (situazione
ambientale, opportunità, avversario…) ma il se il corpo avrà
assimilato le caratteristiche che le forme vogliono fornirgli avrà
la naturale tendenza a usare, recuperare adattare le qualità e i
modelli appresi in funzione della situazione: usare il VT sarà cioè
diventato un’abitudine inconscia ed immediata. Le forme dunque ci
forniscono solo gli “attrezzi” per fare il lavoro, ma sta a noi
scegliere quale sia quello giusto, come e quando usarlo in base
alla situazione che affrontiamo. Infatti non solo ciò che
utilizziamo in concreto è quasi sempre differente dai movimenti
della forma che ne sviluppa il concetto fondate, ma l’azione è
costituita spesso da più “parti” delle tre forme “mischiate”
insieme ed adattate alla situazione concreta.
Tutto questo sempre se la
forma sia intesa nel senso multidimensionale di insieme di principi e
non in quello monodimensionale di applicazione di una tecnica.
Cristallizzare ogni movimento in una risposta standard ad una data
situazione non solo è contrario ai principi della disciplina, ma
renderà il praticante incapace di adattarsi e di usarla in ogni
situazione, così facendo il VT sarà diventato un limite e non
un modo più efficace di usare il corpo per combattere.
Una volta sviluppate le
qualità allenate dalle forme, completate e affinate con il lavoro
con il partner e l’uomo di legno, potenziate ed implementate
con l’utilizzo degli altri strumenti del VT (sacco a muro, sacco
appeso, colpitori, speed ball, armi, ecc.) non resta che testare il
tutto nel contesto non collaborativo con drills in opposizione
e i vari tipi di sparring ( con limitazioni, condizionato, libero,
ecc.) in modo da introdurre il fattore stress (fisico e psicologico)
e l’imprevedibilità dell’avversario e delle situazioni. Sotto
pressione emergeranno errori e lacune, così il praticante saprà
cosa deve migliorare (es.: timing, struttura, overshooting,
coordinazione, ecc.) e quali strumenti usare (es.: quale forma, quale
drill, quale sezione/esercizio all’uomo di legno, ecc.) per
correggere il suo difetto e migliorare. E’ questo che intendiamo
dicendo che il VT è un sistema che riduce gli “errori” che si
possono commettere in combattimento.
Questo dimostra
ancora una volta come il VT sia un sistema che, pur formato da
diverse parti, ha senso solo quando si allenano tutti gli elementi
che lo compongono, in quanto questi tutti insieme, lavorando
sinergicamente, creano il pugilatore VT.
Lasciare fuori qualcosa,
anticipare troppo o all’opposto ritardare in modo smodato l’uso di
uno qualsiasi degli strumenti del VT significa impedire al
praticante, nel migliore dei casi, di arrivare al suo massimo
potenziale o, nel peggiore dei casi, di raggiungere qualcosa di
utilizzabile.
Le tre forme a mani nude del Ving Tsun sono:
Siu
Lim/Lin Tao (SLT)
Punti centrali della prima forma sono l’uso del gomito e la corretta postura/struttura del corpo. Nella SLT si deve ri-imparare a ad usare il proprio corpo e gli arti nella maniera più efficiente ed efficace nonché interiorizzare i concetti fondamentali della disciplina. Si tratta di un lavoro di propriocezione in cui si usa il proprio corpo come riferimento; l’avversario, il combattimento e quant’altro sono per il momento accantonati: lo “sguardo” del praticante è rivolto su se stesso.
Per facilitare questo processo, non ci sono spostamenti (prima occorre imparare a stare in piedi “in struttura”, poi ci si potrà muovere usando “la struttura”) e si usa un braccio alla volta o entrambi che fanno lo stesso movimento, in modo speculare, per facilitare la coordinazione e focalizzarsi su quello che si sta facendo.
SLT inoltre corregge la posizione dei piedi per supportare il pugno (posizione “Yee Gee Kim Yum Ma”), introduce l’idea della “linea centrale”, del fronteggiare l’avversario (Ching Ying: stare “squadrati” senza porre un lato del corpo più in avanti rispetto all’altro), enfatizza equilibrio, economia del movimento, rilassatezza, uso della gravità, fornisce il primo approccio all’esecuzione delle tecniche (in rapporto al gomito e al proprio corpo) e al posizionamento ideale e automatico di braccia e gomiti, fornisce i primi elementi per evitare l’overshooting.
Chum
Kiu
Nella seconda forma si presume che ormai il praticante abbia coscienza e sappia usare il gomito e la struttura (grazie anche agli esercizi abbinati alla prima forma: Dan Chi, Poon Sao, Toi Ma – Seung Ma, ecc.) quindi lo “sguardo” si sposta da noi verso l’esterno, verso l’ambiente e l’avversario.
A questo punto le braccia lavorano in modo indipendente e coordinato tra loro e con il resto del corpo.
Sono introdotti l’uso del terreno per generare forza e per muoversi (spostamenti) nonché i calci.
Chum Kiu sviluppa la velocità di rotazione delle anche e del gomito, l’uso corretto del Bong-Wu Sao, la gestione dell’asse verticale del corpo.
Illustra e allena i principi del “tagliare la via” all’avversario. “recuperare il centro” e “cercare la via più breve per il bersaglio”.
Addestra/potenzia/migliora il timing, la coordinazione generale, l’equilibrio dinamico, la sincronia, il posizionamento corretto delle braccia sulle tecniche di apertura (Pak, Jut, Bong, ecc.), ad usare il corpo come una “unità” (unificazione del corpo), a cercare/mantenere/recuperare la giusta distanza e posizione per colpire l’avversario, corregge l’overshooting in modo dinamico.
Chum Kiu NON
addestra a cercare il contatto con gli arti dell’avversario o a
rimanergli attaccati (errore del “cacciare le mani”): l’unica
cosa che cerca un pugile VT è quella piazzare i suoi colpi su un
bersaglio pagante (Wong Shun Leung stesso è stato più volte chiaro
e netto su questo punto).
Una volta presa una buona
confidenza con la seconda forma è assolutamente necessario sia
introdotto l’uomo di legno nell’addestramento: l’uno aiuta a capire e
migliorare l’altro e a sviluppare le qualità sopra citate.
Biu
Ji
La terza forma rompe gli schemi, viola le “regole” dettate dalle prime due; in effetti potrebbe sembrare una forma di un altro stile. In Biu Ji si incrociano le braccia, si piega la schiena, si “cercano” le braccia avversarie, le mani “lanciano” il corpo e non viceversa, si ipotizza di poter afferrare l’avversario, ecc.
Tutto ciò perché Biu Ji addestra a reagire quando le cose non vanno come si vorrebbe, quando ci si trova in situazioni particolari e/o svantaggiose (feriti, a terra, contro un muro, avversario più grande/forte/veloce, più avversari, braccia bloccate, ecc.…) o quando si commettono errori e devo cercare di recuperare una posizione vantaggiosa: in sostanza quando non posso usare efficacemente il VT “normale”.
Anche questa forma, tuttavia, non propone “tecniche”, ma illustra concetti e “suggerimenti tattici” da usare in caso di emergenza per recuperare errori e tornare a combattere o per limitare i danni (anche fuggendo).
Il fatto che esista
addirittura una forma in cui praticamente si dice che non sempre il
VT può funzionare, che in combattimento si può finire in situazioni
imprevedibili e svantaggiose, che occorre uscire dagli schemi, che a
volte è meglio sapere come farsi strada per sfuggire allo scontro e
scappare dimostra ancora una volta quanto coloro che hanno creato,
sviluppato e tramandato il VT fossero persone estremamente
intelligenti e consapevoli della realtà del combattimento.
Enrico Ferretti